martedì 16 marzo 2010

"Il fotogramma" di Roland Barthes

Testo tratto da "Sul cinema" di Roland Barthes
edito da Il melograno






In una certa misura ( che è quella dei nostri balbetti teorici) il filmico, paradossalmente, non può essere colto nel film "in situazione", "in movimento", "al naturale", ma solamente, ancora, in quell'artefatto maggiore che è il fotogramma. Da molto tempo sono affascinato da questo fenomeno: ci si interessa fino a "incollarsi" a certe fotografie di film (alle porte di un cinema, nei "Cahiers"), e si perde tutto di quelle fotografie ( non solamente il fascino ma il ricordo stesso dell'immagine) passando in sala: mutazione che può giungere a un rovesciamento completo dei valori. Dapprima, ho attribuito questo gusto del fotogramma alla mia incultura cinematografica, alla mia resistenza al film; pensavo allora di essere come quei bambini che preferiscono l'"illustrazione" al testo, o come quei clienti che non possono accedere al possesso adulto degli oggetti (troppo cari) e si accontentano di guardare con piacere una scelta di campioni o un catalogo dei grandi magazzini. Questa spiegazione si limita a riprodurre l'opinione corrente sul fotogramma: un sotto-prodotto lontano dal film, un campione, un mezzo di avviamento, un estratto pornografico e tecnicamente, una riduzione dell'opera mediante l'immobilizzazione di ciò che si considera l'essenza del cinema: il movimento delle immagini.
Tuttavia se il filmico nel senso più profondo ( il filmico dell'avvenire) non è nel movimento, ma in un terzo senso, inarticolabile, che né la semplice fotografia né la pittura figurativa possono assumere perché manca loro l'orizzonte diegetico, la possibilità di configurazione di cui si è parlato, allora il "movimento" che si ritiene l'essenza del film non è per nulla l'animazione, flusso, mobilità, "vita", copia, ma solo l'armatura di uno spiegamento permutativo; diventa allora necessaria una teoria del fotogramma, di cui occorre, in conclusione, indicare gli esiti possibili.
Il fotogramma ci offre il dentro del frammento; bisognerebbe rispondere qui, spostandole, le formulazioni di Ejzenstejn, quando enuncia le nuove possibilità del montaggio audiovisivo : " il centro di gravità fondamentale... si trasferisce all'interno del frammento, negli elementi inclusi nell'immagine stessa. E il centro di gravità non è più l'elemento "tra i piani" - lo choc, ma l'elemento " nel piano" - l'accentuazione all'interno del frammento". Senza dubbio, non vi è nessun montaggio audiovisivo nel fotogramma; ma la formula di Ejzenstejn vale in generale, nella misura in cui fonda un diritto alla disgiunzione sintagmatica delle immagini, e richiede una lettura verticale (ancora un termine di Ejzenstejn) dell'articolazione. Inoltre, il fotogramma non è un campione (nozione che presupporrebbe una sorta di natura statistica, omogenea, degli elementi del film), ma una citazione ( si sa quanta importanza assuma oggi questo concetto nell'ambito di una teoria del testo): è dunque, nello stesso tempo, parodico e disseminatore; non è un prelievo chimico effettuato sulla sostanza del film, ma piuttosto traccia di una distribuzione superiore dei tratti rispetto ai quali il continuum del film vissuto, animato, sarebbe soltanto in ultima analisi un testo, tra i tanti. Il fotogramma è allora frammento di un secondo testo, il cui essere non eccede mai il frammento; film e fotogramma si ritrovano in un rapporto di palinsesto, senza che si possa dire che l'uno è il disopra dell'altro o che uno è estratto dell'altro. Infine, il fotogramma elimina la costrizione del tempo filmico; questa costrizione è forte, e continua a ostacolare quello che si potrebbe chiamare la nascita adulta del film (nato tecnicamente, talora anche esteticamente, il film deve ancora nascere teoricamente). Per i testi scritti, a meno che non siano del tutto convenzionali, legati fino in fondo all'ordine logico-temporale, il tempo di lettura è libero; per il film non lo è, poiché l'immagine non può procedere più in fretta né più lentamente, salvo perdere la sua stessa figura percettiva. Il fotogramma, istituendo una lettura istantanea e nello stesso tempo verticale, si prende gioco del tempo logico ( che è solo un tempo operativo); esso impara a dissociare la costrizione tecnica ( la "lavorazione") dallo specifico filmico, che è il senso "indescrivibile". Forse è questo l'altro testo di cui Ejzenstejn esigeva la lettura, quando diceva che il film non deve essere semplicemente guardato e ascoltato, ma che occorre scrutarlo e prestarvi attentamente orecchio. Questo ascolto e questo sguardo non postulano evidentemente una semplice applicazione dello spirito ( domanda allora banale, voto pio), quanto piuttosto una vera mutazione delle lettura e del suo oggetto, testo o film: grande problema del nostro tempo.


3 commenti:

  1. Complimenti per l'articolo, blog veramente interessante!

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  2. Le riflessioni sul cinema di Roland Barthes non giocano in realtà che un ruolo secondario nella sua opera complessiva. Eppure in esse vive un momento chiave della più generale teoria del cinema degli anni sessanta. Gli anni, cioè, in cui inizia ad affermarsi una specifica disciplina, la semiologia, che prima fra tutte cerca di studiare il cinema in quanto forma di significazione e comunicazione e, di conseguenza, analizzabile con l'ausilio degli strumenti messi a punto dalla linguistica. Riprendendo così il percorso che già era stato avviato dalla filmologia di Cohen Séat la semiotica affronta il cinema attraverso un approccio che vuole essere tanto scientifico da una parte, quanto aperto alla multidisciplinarietà dall'altro.

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  3. Roland Barthes resta una delle figure più raffinate ed eleganti di quella straordinaria stagione culturale espressa dalla Fancia tra gli anni 50-70

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