La cinematografia italiana risente da qualche decennio di un certo nazionalismo. I film italiani assomigliano ai film italiani e sono destinati esclusivamente ad un pubblico italiano. Tecniche di ripresa e di montaggio, stile di recitazione e direzione della fotografia sono codificati in un linguaggio che appartiene unicamente ad un cinema italiano. In Italia fare un cinema che respiri di una certa internazionalità è praticamente impossibile. Esistono varie motivazioni al riguardo, che elencherei per una maggiore chiarezza.
Prima di tutto, qui in Italia esiste una certa tendenza: parlare esclusivamente di se stessi, ovvero di ciò che riguarda l'intera nazione. Non c'è altra storia all'infuori di quella italiana. Questa tendenza, però, non è un fatto nuovo. Il cinema italiano sin dalla sua nascita è succube di un paese che ha preteso nel corso degli anni di potersi specchiare nel cinema, perché il cinema, più di ogni altro media, è capace di trasmettere a livello nazionale quei valori e quel provincialismo fatto di dialetti e tradizioni. Di conseguenza il popolo italiano riuscirebbe maggiormente ad identificarsi in questo cinema "provinciale", perché più vicino alle problematiche che gli appartengono. Si potrebbe leggere questa tendenza del cinema italiano sotto due punti di vista. Innanzitutto va riscontrata una certa incapacità degli autori/registi/produttori italiani a confrontarsi con temi di carattere internazionale. Secondariamente, questa incapacità si è spesso scontrata con il volere "politico", troppo attenta (a partire dal fascismo) ad auto-celebrarsi, per mezzo e per conto del cinema. Faccio riferimento non solo alla politica di governo nazionale, ma anche quella locale e regionale, intenta a finanziare eventi (festival e manifestazioni varie) che puntano prima di tutto ad una promozione locale e in secondo luogo atti a collocarsi come vetrina di sindaci, assessori e ministri pronti a fare discorsi autoreferenziali in conferenza stampa.
Altro elemento importante e non da sottovalutare è l'avvento della televisione commerciale ed in particolar modo della fiction televisiva. A partire dalla metà degli anni '90, la produzione cinematografica si è spostata massicciamente in ambito televisivo, trovando un maggiore riscontro economico, ma limitata (a differenza dei serial americani) in ambito espressivo, codificandosi in un linguaggio mediocre, patinato, altamente generalizzato. Non tutti sanno che oggi, in Italia, la più grande casa di produzione cinematografica è la Rai e che l'80% degli studios a Cinecittà è destinata, oramai, a produzioni televisive e di fiction. Il cinema in questo contesto, sembra che si stia adeguando, adottando sempre di più, gli stereotipi e i linguaggi della fiction televisiva. Questo assunto dimostra maggiormente come il cinema italiano fatica a inserirsi in un panorama internazionale.
In fine andrebbe approfondito maggiormente il problema della lingua. Una buona parte del cinema italiano è caratterizzato dall'uso di dialetti e di evocazioni linguistiche che fanno riferimento a certi contesti e certi luoghi. Un film che fa largo uso di dialetti è difficile che possa essere compreso all'estero. Anche attraverso il doppiaggio il film verrebbe massacrato in quanto snaturalizzato. Potrei portare come esempio i film di Carlo Verdone, dove l'utilizzo della lingua e dei vari dialetti serve a giustificare anche l'azione e le storie stesse dei personaggi dei suoi film. Lo stesso vale per i film di Ciprì e Maresco.
E' possibile quindi, oggi, fare in Italia un cinema internazionale? Dopo quanto detto, verrebbe da rispondere di no. Ma in realtà ci sarebbero una serie di film e di giovani autori che smentirebbero tale risposta. Per quanto pochi, ci sono da qualche anno una serie di autori che stanno piano piano rivendicando la possibilità di fare in Italia un cinema che possa essere esportato all'estero o che in qualche modo si possa collocare in un panorama internazionale. In questo momento mi viene facile citare due nomi: Paolo Sorrentino e Giuseppe Capotondi. Paolo Sorrentino, sicuramente più affermato rispetto a Capotondi, è ormai un autore internazionale e il prossimo film con Sean Penn sarà la dimostrazione (più di quanto abbia fatto Muccino con Will Smith). Per quanto legato ad un contesto, che è quello partenopeo, i film di Sorrentino sono internazionali. Parlo in particolar modo de Le conseguenza dell'amore, a mio avviso il suo miglior film e forse quello che maggiormente si è slegato dalla tradizione storica e linguistica italiana. Anche Giuseppe Capotondi ha dimostrato di sapersi confrontare con un cinema che va al di là di quello italiano. Il suo unico e bellissimo film, La doppia ora, è la dimostrazione di come sia possibile fare un cinema che si sappia svincolare dai codici di un cinema provinciale. Il suo thriller psicologico, regge benissimo il confronto con film americani, mantenendo quella poetica degna di quel cinema indipendente italiano che fa affidamento da qualche anno su autori quali Sorrentino, ma anche su Soldini e Garrone per non parlare di un cinema sommerso che trova spazio solo in festival nazionali e internazionali.
Roberto Mazzarelli
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