venerdì 4 giugno 2010

Walter Benjamin - Ripresa cinematografica: il pittore e l'operatore.

Una ripresa cinematografica e specialmente sonora offre uno spettacolo che in passato non sarebbe stato immaginabile. Essa rappresenta un processo al quale non può più venir coordinato un solo punto di vista da cui l'attrezzatura necessaria alle riprese, il parco lampade, il gruppo degli assistenti, ecc., che non rientrano nella vicenda ripresa vera e propria, possono esulare dal campo visuale di chi sta a guardare. ( A meno che la posizione della sua pupilla non coincida con quella dell'obbiettivo della cinepresa). Questo fatto - questo più di chiunque altro - rende superficiale e irrilevante l'analogia tra una scena ripresa nello studio cinematografico e una scena recitata in teatro. Per principio, il teatro conosce un punto dal quale ciò che avviene in scena può non essere visto come senz'altro illusorio. Di fronte alla scena ripresa nel film invece questo luogo non esiste. La sua natura illusionistica è una natura di secondo grado; è il risultato del montaggio. Vale a dire: nello studio cinematografico l'apparecchiatura è penetrata così profondamente dentro la realtà che l'aspetto puro di quest'ultima, l'aspetto libero del corpo estraneo dell'apparecchiatura è il risultato di uno speciale procedimento, cioè della ripresa mediante la macchina disposta in un certo modo e del montaggio di questa ripresa insieme con altre riprese dello stesso genere. Quell'aspetto della realtà che rimane sottratto all'apparecchio è diventato così il suo aspetto più artificioso e la vista sulla realtà immediata è diventata una chimera nel paese della tecnica.
La stessa situazione, che così si differenzia da quella del teatro, può essere ancora più utilmente confrontata con quella della pittura. Qui la domanda da porre è la seguente: qual'è il rapporto tra operatore e il pittore? Per rispondere a questa domanda ci sia consentito ricorrere a una costruzione ausiliaria fondata su un concetto di operatore derivante dalla chirurgia. Il chirurgo incarna il polo di un ordinamento, al polo opposto del quale c'è il mago, che guarisce un ammalato mediante imposizione delle mani, è diverso da quello del chirurgo, il quale intraprende invece un intervento sull'ammalato. Il mago conserva la distanza tra sé e il paziente; in termini più precisi: la riduce - grazie all'apposizione delle sue mani - soltanto di poco e l'accresce - mediante la sua autorità - di molto. Il chirurgo procede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di molto - penetrando al suo interno -, e l'accresce di poco- mediante la cautela con cui la sua mano si muove tra gli organi. In una parola: a differenza del mago (che ancora si nasconde nel medico comune), nel momento decisivo, il chirurgo rinuncia a porsi di fronte all'ammalato da uomo a uomo; piuttosto, penetra al suo interno operativamente. Il mago e il chirurgo si comportano rispettivamente come il pittore e l'operatore. Nel suo lavoro, il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l'operatore invece penetra profondamente nel tessuto dei dati. Le immagini che entrambi ottengono sono enormemente diverse. Quella del pittore è totale, quella dell' operatore è multiformemente frammentata, e le sue parti si compongono secondo una legge nuova. Così, la rappresentazione filmica della realtà è per l'uomo odierno incomparabilmente più significativa, poiché, precisamente sulla base della sua intensa penetrazione mediante l'apparecchiatura, gli offre quell'aspetto, libero dall'apparecchiatura, che egli può legittimamente richiedere dall'opera d'arte.

Walter Benjamin in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936-37, Einaudi

4 commenti:

  1. Ottimo articolo, come sempre.

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  2. La capacità di ridefinire il rapporto tra l’arte e le masse aperta dal cinema risiede per Benjamin nella possibilità di una fruizione collettiva nella quale la critica non è soffocata da una forma di devozione cultuale nei confronti dell’immagine. Certo, anche nel cinema è presente un residuo di aura, in particolare nel culto della personality che trasforma gli attori in divi, e del resto è chiaro che l’”industria cinematografica ha tutto l’interesse a imbrigliare, mediante rappresentazioni illusionistiche e mediante ambigue speculazioni, la partecipazione delle masse”. Alla ricognizione delle possibilità espressive del mezzo cinematografico operata da registi come Ejzenstejn si contrapponeva, in quegli stessi anni, l’impiego dell’immagine cinematografica da parte dei regimi fascisti a fini propagandistici – basti pensare al contributo della regista Leni Riefenstahl nel definire l’iconografia del nazismo - , testimoniando così come questa forma espressiva avesse un potenziale ambiguo, , che sarà poi analizzato da Adorno e Horkehimer , in relazione all’industria culturale americana, in Dialettica dell’illuminismo (1946). Rispetto a questo testo, l’analisi di Benjamin mostra di condividere l’interesse e le aspettative nutrite da diversi movimenti degli anni Venti e Trenta (neoplasticismo, costruttivismo, Bauhaus), oltre che dai giovani Lukàcs e Brecht , nei confronti dei nuovi mezzi espressivi, pur riconducendo la riflessione sull’arte a una finalità prettamente politica: Benjamin risponde infatti all’estetizzazione della politica e della guerra proposte dal fascismo, e condivise da futuristi come Martinetti, sostenendo la necessità di una “politicizzazione dell’arte” proprio a partire dal potenziale rivoluzionario e democratico del cinema. (testo a cura di Claudia Bianco)

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  3. Attraverso il concetto di «carattere distruttivo» Walter Benjamin insegna non solo a rapportarsi in modo nuovo con la nostra memoria, il nostro passato, la nostra tradizione, ma anche a comprendere le nozioni di passaggio, soglia, transizione. Egli propone un concetto «positivo» di distruzione, che non comporta la cancellazione totale di ciò che prima esisteva, ma rivela la traccia di quella facoltà conservativa per eccellenza a cui diamo il nome di memoria. Lo spazio in cui opera il carattere distruttivo è lo spazio dello sconfinamento, della possibilità del cambiamento e dell’emancipazione; lo spazio in cui è possibile tenere insieme passato e futuro, memoria e redenzione.

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