venerdì 29 ottobre 2010

Il mondo perduto di Vittorio De Seta.

di Giuseppe Comune


Vittorio De Seta è autore di pochi lungometraggi e di documentari eccezionali, tutti girati dal 1954 al 1959 tra Sicilia, Sardegna e Calabria. "Lu tempu di li pisci spata", "Isola di fuoco", "Surfatara", "Pasqua in Sicilia", "Contadini di mare", "Parabola d'oro", "Pescherecci", "Pastori di Orgosolo", "Un giorno in Barbagia" e "I dimenticati", danno corpo a un mondo perduto di cui ci rimane una preziosa e fondamentale testimonianza di usi, costumi e saperi grazie ai lavori di De Seta. Parlare di questo mondo significa mostrare una cultura di confronto che serve a farci porre la questione di quanto ci abbiamo perso e quanto guadagnato dalla cesura violenta che ne produsse la fine (Pasolini parlò di sviluppo senza progresso), invece di una sua più graduale trasformazione che tenesse conto, tanto dei fisiologici mutamenti sociali generati dal divenire storico, quanto dell'armonia che sempre si dovrebbe ricercare tra l'uomo e la natura. Come sottolinea Roberto Saviano, quello di De Seta è uno "sguardo ossessionato dal vero e distratto dal bello. Una distrazione neccessaria per generare continuità tra spettatore e pellicola". Infatti, in De Seta è inscindibile la rappresentazione "estetizzante" della verità, come se volesse "guardare alla bellezza e da questa trovare la salvezza". Il tutto condotto con una tecnica cinematografica sorprendentemente unica ed eccezionale, tanto che Martin Scorsese ebbe a dire, a proposito dei documentari di De Seta, che "il suo uso della macchina da presa, la sua strordinarietà nel fondere i personaggi con l'ambiente circostante, furono per me una completa rivelazione.(....). Era il cinema nella sua espressione migliore, capace di trasformare, che mi aveva permesso di capire cose mai comprese prima d'ora e di vivere emozioni a me sconosciute. Mi sembrava di aver fatto un viaggio in un paradiso perduto". Per il Direttore della cineteca di Bologna (che ha curato il restauro di tutti i documentari) Gian Luca Farinelli, De Seta è "il cineasta più innovativo del cinema italiano, una sorta di esploratore di sentieri che gli altri non hanno visto". In effetti l'unicità dell'opera di De Seta risiedeva nel fatto che rappresentava un mondo che dopo millenni stava per scomparire e i "cineasti italiani guardavano a quello che gli italiani sarebbero diventati, ma non quello che stavano per non essere più". La modernità stava mandando in frantumi con una velocità sorprendente un mondo millenario, e nel mentre questo passaggio della storia completava la sua opera, De Seta si premunì di arginarne la furia devastatrice documentando il legame profondo tra l'uomo e la natura dove questo si conservava ancora intatto. Mettendo "in scena la tragedia, l'epica, l'Opera della natura" " (Alberto Farassino) con uno sguardo " che fermava, ma anche scavava e trovava l'essenza dietro l'apparenza" (Goffredo Fofi). Insomma, come riconobbe Scorsese, "un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta". Una delle cose più belle della cultura italiana.

I film documentari di De Seta sono raccolti nel cofanetto edito dalla Feltrinelli (collana Real cinema) col titolo "Il mondo perduto.I cortometraggi di Vittorio De Seta 1954— 1959", che comprende anche il libro "La fatica delle mani", con scritti su Vittorio De Seta di Martin Scorsese, Roberto Saviano, Goffredo Fofi, Alberto Farassino, Vincenzo Consolo, Marco Maria Gazzano e Gian Luca Farinelli.


Scena iniziale di Banditi ad Orgosolo , 1961.



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