giovedì 7 ottobre 2010

Il teatro, il cinematografo e il futurismo - Majakovskij e il cinema (1)





Signori e signore, la grande frattura da noi prodotta in tutti i campi della bellezza, in nome dell'arte dell'avvenire, in nome dell'arte dei futuristi, non si interrompe, né può interrompersi, dinanzi alla soglia del teatro.
L'odio per l'arte di ieri, per la nevrastenia, coltivata dal colore, dal verso, dalla ribalta, per l'indimostrata necessità di esprimere le meschine vicissitudini di chi s'allontana dalla vita, mi costringe ad addurre, quale prova dell'immancabile accettazione delle nostre idee, non già il pathos lirico, ma la scienza esatta, l'analisi dei rapporti fra arte e vita.

E il disprezzo per le attuali "riviste d'arte", ad esempio Apollon e Maski, dove nel grigio fondo dell'assurdità, come macchie di grasso, galleggiano oscuri vocaboli stranieri, mi induce a provare sincera soddisfazione per la pubblicazione del mio scritto in una rivista tecnica, specializzata, cinematografica.
Sollevo oggi due questioni:
1) è arte il teatro contemporaneo? e 2) può questo teatro reggere alla concorrenza del cinematografo?
La città, munendo le macchine di migliaia di cavalli vapore, ha permesso, per la prima volta, di appagare le esigenze materiali del mondo con sei o sette oro di lavoro quotidiano; e l'intensità, la tensione della vita moderna ha con forza sottolineato la necessità di quel libero giuoco delle facoltà conoscitive che è opportuno l'arte.
Si spiega così l'eccezionale interesse dell'uomo moderno per l'arte.

Ma, se la divisione del lavoro generato un gruppo specifico di lavoratori della bellezza, se per esempio, l'artista, non più dipingendo il "fascino delle maitresse ebbre", si dedica all'arte democratica, egli deve dire alla società in quali condizioni il suo lavoro da individualmente necessario si tramuta in socialmente utile.
Il pittore che ha proclamato la dittatura dell'occhio ha diritto di vivere.
Avendo dichiarato il colore, la linea e la forma grandezze autonome, la pittura ha scoperto l'eterna via di sviluppo. Coloro i quali affermano che la parola, il profilo, il suo aspetto fonico condizionano lo sbocciare della poesia hanno diritto di vivere. Costoro hanno scoperto la strada che conduce all'eterna fioritura della poesia.
Ma il teatro, che sino al nostro avvento è stato solo l'artificioso travestimento di ogni forma d'arte, ha forse diritto a un'esistenza autonoma come specifica forma d'arte?

Il teatro contemporaneo viene rappresentato, ma la messinscena è il prodotto del lavoro scenografico di un pittore, ormai dimentico della propria libertà e avvilitosi nella pratica di una concezione utilitaristica dell'arte. Sotto questo profilo, il teatro può quindi essere soltanto un incivile asservitore dell'arte.
L'altro aspetto del teatro è la "parola".
Ma anche qui l'azione del momento estetico non è condizionata tanto dall'intrinseca evoluzione della parola, quanto invece dal suo impegno come mezzo per esprimere idee morali e politiche, occasionali per l'arte. Anche qui il teatro contemporaneo è solo un asservitore della parola e del poeta.
E dunque, prima del nostro avvento, il teatro, in quanto arte autonoma, non esisteva. Ma è mai possibile rinvenire nella storia una qualche traccia della possibilità del teatro di vivere una vita autonoma? Senza dubbio, sì.
Il teatro shakespeariano non conobbe la scenografia. La critica insipiente ha ascritto il fenomeno all'ignoranza dell'arte scenografica. Ma non vi fu forse a quel tempo una rigogliosa fioritura del realismo pittorico? E il teatro di Oberammergau non vincola forse le parole con un metro rigoroso?

In realtà, tutti questi fenomeni possono essere interpretati soltanto come un presentimento dell'arte specifica dell'attore, in cui l'intonazione di una parola, pur spoglia di un significato preciso, e i movimenti del corpo umano, premeditati ma liberi nel ritmo, esprimono le più profonde vicissitudini interiori.
Sarà questa la nuova e libera arte dell'attore.
Attualmente, nel presentare una raffigurazione fotografica dell'esistenza, il teatro cade nella seguente contraddizione.
L'arte dell'attore, per sua essenza dinamica, si vincola al fondo inerte della scenografia. Questa stridente contraddizione è risolta dal cinematografo, che fissa puntualmente, i movimenti concreti.
Il teatro si è condannato a morte da sé e deve consegnare il suo retaggio al cinematografo. Il cinematografo, tramutati in un ramo industriale l'ingenuo realismo e l'artisticità con Cechov e Gorki, spiana la strada al teatro dell'avvenire,alla libera arte dell'attore.


Vladimir Majakovskij (tratto da Cinema e cinema)

Nessun commento:

Posta un commento