giovedì 11 novembre 2010

Le città di Silvio Soldini

di Emidio Tribolati



Silvio Soldini è un regista assolutamente peculiare nel panorama cinematografico italiano. Milanese ma originario del Canton Ticino, a 21 anni ha il coraggio di trasferirsi a New York per studiare cinema alla prestigiosa New York University. Torna dopo 3 anni a Milano e comincia la gavetta nella pubblicità e come traduttore di telefilm americani. Intanto comincia a girare corti e mediometraggi con cui si comincia a far conoscere. E da qui comincia il sodalizio con uno dei direttori della fotografia italiani più apprezzati degli ultimi anni, quel Luca Bigazzi che ha saputo sempre dare i colori giusti ai racconti del regista milanese. Un regista colto e sensibile, attratto dalle piccole cose che rendono grande la vita, autore di film ricchi di sfumature psicologiche, impossibili da raccontare per il loro minimalismo conclamato, che lo rendono unico in Italia. Le sue storie sono spesso sospese tra commedie e dramma, attente ai risvolti sociali, storie di personaggi a tutto tondo ma anche storie di città, dei loro scorci che non sono solo uno sfondo mesto o inanimato che serve solo a far da cornice a questo o a quel film, ma arrivano ad essere veri e propri personaggi aggiunti. Potremmo dire che Soldini è la mente e Bigazzi è il braccio per come personaggi e ambienti interagiscono tra di loro. E questo probabilmente è dovuto anche all'attività mai interrotta di documentarista da parte di Soldini che riesce ad alternare film in cui infondere il suo tocco personale in storie di fantasia e documentari in cui il suo occhio curioso, quasi da entomologo fissa ambienti e situazioni vere, documentandole fedelmente. Soldini è milanese quindi è normale che la città che ricorre di più nella sua filmografia sia la natia Milano, molto spesso considerata però un alma matrigna ingrigita dalle luci al neon. Spesso la Milano di Soldini è plumbea, spenta,ricca di colori freddi. E' la protagonista indiscussa (anche più degli attori) di Giulia in ottobre del 1985, mediometraggio di 58 minuti prodotto in parte con un premio Gaumont/Film maker, esile storia degli incontri notturni di una ragazza come tante che gira per Milano.
"La ricerca sull'immagine si piega ai registri di una narrazione smorzata ma non piatta, sorretta dalla bella fotografia a colori di Bigazzi che ha nell'esplicito rapporto delle dominanti cromatiche delle diverse fonti di illuminazione il tratto distintivo"(Paolo Vecchi,Marco Zambelli,Cineforum n.248, ottobre 1985). In questo film a Soldini interessa la sottolineatura dell'ambiente urbano, non specificatamente milanese — come afferma in un intervista — ma il risultato è sorprendente. Milano probabilmente non è stata mai vista così. Analogo discorso si può fare per il primo lungometraggio di Soldini, quel L'aria serena dell'Ovest (1990) che ha fatto voltare la testa a più di un critico.

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Milano compare nelle prime inquadrature de L’aria serena dell’ovest come un insieme di linee che si intersecano: quelle dei palazzi che galleggiano immobili nella luce azzurrina dell’alba, quelle dei fili della luce che tagliano il quadro in modo espressivo, quelle dei semafori lampeggianti, unico inquietante segnale di vita in un paesaggio che sembra voler esaltare al massimo, alla maniera di Antonioni, l’indifferenza dell’inorganico. È fredda la Milano di Soldini, fredda e attraente. Irresistibile per una mdp che spesso si distrae, lascia i personaggi alle loro azioni per perdersi nelle geometrie misteriose di architetture grige. Quasi fosse lì la soluzione di tutto, quasi i significati fossero confusi tra le linee e le forme delle cose, come in un giochino ottico da parole crociate."
(Cinema Rosebud,www.municipio.re.it/manifestazoni/ufficio_cinema).
Lo sguardo curioso di Soldini ha per oggetto la sua Milano anche nel suo secondo lungometraggio di fantasia, Un anima divisa in due (1993).

Milano ma non solo. Comincia ad essere introdotto un altro tema comune a diversi film di Soldini: il bisogno di fuga da una realtà (metropolitana) ritenuta asfissiante. Milano è la protagonista dei primi minuti in cui su vari piani di racconto si introducono i diversi personaggi. La cinepresa ci fornisce un ritratto a tinte fosche di una città che non lascia troppi spazi, un conglomerato incombente su una routine quotidiana annichilente. Ritorna alla mente anora una volta Antonioni e l'importanza del paesaggio urbano nel suo cinema. La fuga dei due protagonisti li porta nella provincia,da Livorno a Forte dei Marmi, fino ad arrivare ad Ancona che rappresenta l'anelito di una vita comunque normale e normalizzata,un integrazione possibile laddove non era stato nemmeno pensabile in quel melting pot che era Milano. La realtà provinciale è altra cosa. Ancona rappresenta bene lo stereotipo della perfettà città qualunque.

Soldini abbandona (momentaneamente) la natia Milano per girare il suo film successivo, Le acrobate (1997). Un film di donne, dalla parte delle donne, girato da un uomo. La fotografia del fido Bigazzi stavolta esplora le tonalità più calde della sua tavolozza cromatica per descrivere Treviso (in mise autunnale) ma soprattutto Taranto che, nonostante palazzoni a perdita d'occhio, è baciata da un sole luminoso ed è ben diversa dalla Gomorra in sedicesimo che appare in altri film (come ad esempio il recente Marpiccolo firmato da Alessandro Di Robilant, regista curiosamente legato alla Svizzera come Soldini). Il tema del viaggio e della ricerca di comunicazione tra le acrobate è l'architrave del film che si conclude tra le montagne della Valle D'Aosta, nel candore abbacinante del ghiaccio perenne, una meta tra il metaforico e il reale, simbolo di una sete insopprimibile di libertà da parte delle due protagoniste. Il viaggio a nord è il loro modo di cogliere l'attimo prima che fugga.

Con il suo lungometraggio successivo Soldini esce dalle "nebbie solitarie dell'ovest" (Gervasini, Filmtv). Pane e tulipani (2000), fotografato sempre dal fido Bigazzi è la sua prima incursione nella commedia, il suo film più acclamato e di successo. La casalinga pescarese (ma potrebbe essere di qualsiasi città) abbandonata all'autogrill coglie l'occasione della fuga dalla sua routine. E il suo punto d'arrivo è una magnifica Venezia, calda, solare, colorata dei colori squillanti del negozio di fiori che del film è punto nevralgico. E' una Venezia dagli sbruffi di colore oserei dire almodovariani, un susseguirsi di vicoli fioriti e angoli pittoreschi da cartolina lontani dalle mete turistiche e quindi per questo ancora più belli. Ma nel film non si sfiora mai l'oleografia fine a se stessa. E il cromatismo acceso si espande anche ai vestiti, agli accessori (occhiali da sole, cappellini) per dare uniformità e luce senza creare coni d'ombra. La Venezia idealizzata dalla casalinga pescarese di cui sopra diventa reale e viceversa,senza soluzione di continuità. La fuga che lei intraprende è a tempo determinato ma il suo sogno è comunque avverato.
Dopo la parentesi innevata del melodramma Brucio nel vento (2002) la cui vicenda è ambientata in un paesino svizzero luogo d'incontro casuale di due immigrati (legati dal destino alle prese con una routine soffocante (fotografia di Luca Bigazzi), Soldini nel suo film successivo ritorna a un registro più leggero e con colori più caldi.

Agata e la tempesta (2004) che nelle parole dello stesso Soldini rappresenta una sorta di Pane e tulipani 2, è fotografato da Arnaldo Catinari. Pur con caratteristiche cromatiche analoghe alla Venezia di Pane e tulipani, la città che fa da sfondo a tutta la vicenda (una sorta di fiaba surreale) è Genova, del resto mai nominata ma perfettamente riconoscibile in alcune locations molto caratteristiche. Una città in cui non è possibile isolarsi, un ininterrotta serie di palazzoni, gli uni a fianco agli altri,il mare che da poco distante incornicia tutto. Accanto a Genova e alle sue colline ispide c'è l'isolato delta padano che crea un fragoroso contrasto. E' bella e affascinante la Genova di Soldini e deve avere affascinato pure lui se poi sarà lo sfondo del suo film successivo, Giorni e nuvole (2007).

Un altro titolo atmosferico per un film che esamina da vicino la crisi socio economica che scuote il nostro Paese. Viene abbandonata l'idea della fuga che era il leit motiv i molti suoi film precedenti.
"C'è una città di mare (Genova) dove (re)stare — dove le nuvole vanno, vengono e ogni tanto si fermano— " (Marzia Gandolfi,www.mymovies.it). "Con mano ferma e abile Soldini si muove in una Genova che è quasi un personaggio aggiuntivo. Città straordinaria nel bene e nel male, piena di significati e di ricordi — politici — per diverse generazioni qui è bella e comune anche grazie all'ottima fotografia di Ramiro Civita"(Boris Sollazzo, Liberazione)Pur essendo una Genova dai colori meno accesi che in Agata e la tempesta, il capoluogo ligure è estremamente fotogenico, esplorato da passeggiate o gite sul motorino, col mare sempre lì a due passi dai palazzi e dalle colline.

Infine il ritorno a casa. In Cosa voglio di più (2009), Soldini torna a raccontare la sua Milano due decenni dopo. O meglio racconta quel "immenso non-luogo che è l'hinterland milanese", "con tono neutro,freddo,fotografia realistica quasi "assente"(di Ramiro Civita, argentino portato in Italia da Marco Bechis: ci voleva uno straniero per vedere Milano così" (Alberto Crespi,L'Unità).
E' una Milano fredda e impersonale, quella dei palazzoni alveare che fungono solo da dormitorio, dei parcheggi o dei motel equivoci. Vengono colti i particolari del quotidiano alla ricerca di un nonstile a metà tra documentario e fiction. Soldini si conferma una volta ancora come grande illustratore di scorci urbani che a prima vista non hanno nulla di cinematografico. Ambienti che probabilmente incontriamo talmente tante volte al giorno che ormai ci sfuggono nella loro apparente banalità. La grandezza di Silvio Soldini sta proprio in questo: nel riuscire a trovare la poesia nei piccoli gesti quotidiani raccontando storie di minimi esistenziali a cui ci si appassiona senza quasi accorgersene.....

Trailer di Cosa voglio di più (2009)

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