mercoledì 24 marzo 2010

Perdita del piacere in Io e Annie

di Roberto Mazzarelli





In un'analisi su Io e Annie di Woody Allen, sarebbe interessante approcciarsi al titolo provvisorio del film, poi scartato, in quanto inadeguato o forse troppo complesso e retorico.
Anedonia (termine perfetto per una tragedia greca), è così che doveva intitolarsi il primo film maturo dell'esperienza alleniana. Anedonia è uno dei termini più diffusi nel vocabolario psicanalitico e psichiatrico. Esso sta ad indicare l'incapacità di una persona a provare qualsiasi tipo di piacere (alimentare, sessuale, sentimenale, emotivo...). Il tema della perdita del piacere, per quanto sottile e impercettibile, è centrale nel diegesi del film e probabilmente in tutta la filmografia del regista newyorkese.

Bisogna tenere ben presente che negli anni settanta, la teoria cinematografica è particolarmente attenta al tema del "piacere" (visivo) nel cinema. In particolar modo esso si esprime nel contesto del Femminist Film Theory (FFT) e nelle teorie sul cinema classico americano, sviluppatesi entrambe nella metà degli anni settanta ed in parte rifatte ad alcuni studi del filosofo e psichiatra francese Jacques Lacan. Ed è qui che diventa importante citare il saggio di Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, pubblicato nel 1975. Come ha ben spiegato Veronica Pravadelli in La grande Hollywood, " Laura Mulvey ha teorizzato la centralità dello sguardo nell'esperienza cinematografica: ovvero, lo sguardo è il vettore del funzionamento dell'apparato, del rapporto spettatore/schermo e delle dinamiche diegetiche del testo filmico... In primo luogo, il piacere visivo dell'esperienza cinematografica si fonda sull'attivazione di due pulsioni contraddittorie del guardare , il voyeurismo e il narcisismo. Queste dinamiche, tuttavia, non sono ugualmente disponibili per lo spettatore e per la spettatrice, in quanto il cinema classico ha iscritto la differenza sessuale nelle sue strategie retoriche e, conseguentemente, nell'esperienza spettatoriale... Il cinema classico è costruito per il solo piacere dello spettatore maschile: se l'identificazione è il riconoscimento di sé nell'immagine del proprio simile, è chiaro che, poiché è il personaggio maschile a dominare la scena, con l'azione e lo sguardo, solo l'uomo in sala potrà identificarsi con l'eroe." Come ben capiamo quindi, nel classicismo cinematografico, il piacere dell'identificazione e quindi dello sguardo è concesso solamente all'uomo. Ma allo stesso tempo la Mulvey, afferma che il "cinema classico in realtà permette alla spettatrice di identificarsi con l'immagine cinematografica... solo in virtù della regressione della fase pre-edipica. In questo caso il cinema permetterebbe alla donna di riscoprire quel piacere perduto".

"La perdita del piacere" di Io e Annie è qualcosa di più complesso e ha che vedere non più con la classicità americana bensì con la sua modernità. Nel cinema moderno americano, lo spettatore diventa parte integrante del racconto narrativo, inoltre, la differenza spettatore/spettatrice diventa impensabile, in quanto il punto di vista non è più privilegio di un eroe maschile. I punti di vista nel film si moltiplicano e lo spettatore si libera finalmente delle modalità maschiliste del cinema classico. Lo spettatore viene ora chiamato in causa più volte non tanto a giudicare gli eventi, bensì diventa complice del protagonista, l'amico più fidato, l'ascoltatore per eccellenza cui il protagonista può fare affidamento. Ed è proprio quest'ultima affermazione ad essere centrale nel film di Woody Allen, che vuole a tutti i costi qualcuno che gli dia ragione, pretende che lo spettatore si identifichi con lui e lo fa attraverso quello che Christian Metz chiama " funzione d'orientamento" per lo spettatore da parte di un personaggio-narratore che "sa e fa sapere (focalizzazione mentale)", "sente e fa sentire (focalizzazione uditiva)", "vede e fa vedere (focalizzazione visiva)" e infine "vede e sente e fa vedere e fa sentire (focalizzazione audiovisiva)". Tecnicamente, questa sorta di incanalamento dello sguardo e quindi del piacere visivo, a scapito dello spettatore, è data dal frequente uso del personaggio - narratore (Woody Allen) di parlare "in macchina" da presa. Il fatto che tale privilegio, però, viene (auto)concesso al solo protagonista del film ci di-mostra come Allen sia interessato in fin dei conti a parlare esclusivamente di se, della sua crisi di mezza età e del suo rapporto deludente e "castrante" con le donne. L'instabilità emotiva, i matrimoni falliti, il rapporto contrastato con Annie Hall, fanno di Alwy Singer (Woody Allen) un personaggio ai limiti della depressione, una persona ormai incapace di provare "piacere" dalla vita. Il massimo che il personaggio-narratore si concede e concede al piacere dello spettatore è di guardare al passato, ricordarlo con romanticismo e ironia , come gli ultimi frame del film che riassumono la storia d'amore tra Alwy e Annie.


3 commenti:

  1. Il film doveva originariamente chiamarsi Anhedonia (termine con cui s’intende l’incapacità di provare gioia) con riferimento al protagonista, alla sua ossessione per la morte, al suo attaccamento per una città come New York, definita nel film “morente”, al suo odio per la più solare, ma vuota e superficiale, Los Angeles, di cui dice: “Io non potrei viverci in una città dove il solo progresso culturale è che puoi voltare a destra con il semaforo rosso”. Questo titolo fu però ritenuto inappropriato e al suo posto fu scelto quello di Annie Hall, con maggiore concentrazione su questo personaggio che, a detta del regista, è stato tagliato su misura per l’attrice Diane Keaton, per lunghi anni sua musa ispiratrice, nonché la compagna e la protagonista di molti suoi film. Il titolo stesso è un omaggio a lei, in quanto il vero cognome di Diane è Hall (l’attrice ha dovuto cambiarlo, per ragioni d’omonimia, con quello della madre, Keaton). Nel film il personaggio di Annie ha un’evoluzione che pian piano l’allontanerà da Alvy. Da giovane ragazza della provincia bene, spontanea, un po’ impacciata e culturalmente sprovveduta, aspirante cantante d’incerte qualità, passerà infatti, con l’aiuto di Alvy, attraverso un percorso di acculturamento, di analisi e di scoperta di sé e delle sue possibilità che renderà sempre più impossibile la loro relazione.

    RispondiElimina
  2. La sapete quella di… hm… di quelle due vecchie signore in villeggiatura, sui monti Catskills, e una dice: "Mamma, come si mangia male in questo posto!" "Oh, sì, il vitto è uno schifo dice l'altra", dice l'altra, "e oltretutto ti danno porzioni così piccole!" Beh, questo è essenzialmente quel ch'io provo nei riguardi della vita: piena di solitudine e squallore, di guai, di dolori, di infelicità… e oltretutto dura troppo poco. C'è poi… c'è quell'altra battuta – importante per me – attribuita a Groucho Marx… ma io credo che risalga a Freud, quando parla del motto di spirito e dei suoi rapporti con l'inconscio. Dice… cito a memoria… dice… parafraso… dice: "Non accetterei mai di far parte di un circolo accettasse fra i suoi soci uno come me". Questa è la battuta chiave della mia vita d'adulto per quanto riguarda i miei rapporti con le donne. (Io e Annie)

    Film bellissimo e coinvolgente.

    RispondiElimina
  3. Allan StewartKonisberg, in arte Woody Allen.Regista altalenante, poco amato dalla critica americana (e non solo), autore di commedie irresistibili e di altre noiose, sbiadite e poco convincenti, Allen ha costruito nel tempo il suo inconfondibile personaggio di ometto fragile, insicuro, logorroico, ossessionato dalla morte e dalle malattie, succube dell’universo femminile, divorato da mille complessi, perennemente in analisi e sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Grazie ad alcuni aforismi (“La psicanalisi è un mito tenuto vivo dall'industria dei divani”, “Lo psichiatra è un tizio che vi fa un sacco di domande costose che vostra moglie vi fa gratis.”) ed un paio di esilaranti battute Woody Allen ha cementato, nell’immaginario collettivo, il suo indissolubile connubio con la psicoanalisi.
    “E poi Freud, altro grande pessimista! Gesù, sono stato in analisi per anni. Non è successo niente. Il mio analista, per la frustrazione, cambiò attività. Aprì un self-service vegetariano”(Hannah e le sue sorelle) “Sono in analisi da quindici anni. Gli do un altro anno di tempo e poi vado a Lourdes” (Io e Annie) “Ho scritto molti saggi sulla psicoanalisi, ho lavorato con Freud a Vienna. Ci dividemmo sull’invidia del pene: Freud pensava di doverla limitarla alle donne”, "Sto curando due coppie di siamesi con doppia personalità. Sono pagato da otto persone.“ (Zelig) “La mia analista dice che devo vivere un campagna e non a New York! E io non posso! Facciamo sempre la stessa discussione. La campagna mi innervosisce: ci sono i grilli e il silenzio e non sai dove andare dopo cena e le reti alle finestre con le falene morte spiaccicate. A parte l’eventualità di visite di Manson e altre famiglie di Satana.” (Io e Annie).

    RispondiElimina