giovedì 13 maggio 2010

Frammenti n°9: Pirandello e l'attore cinematografico


Qua si sentono come in esilio. In esilio non soltanto dal palcoscenico, ma quasi anche da se stessi. Perché la loro azione, l'azione viva del loro corpo vivo, là, sulla tela dei cinematografi, non c'è più: c'è la loro immagine soltanto, colta in un momento, in un gesto, in un espressione, che guizza e scompare. Avvertono confusamente, con un senso smanioso, indefinibile di vuoto, anzi di votamento, che il loro corpo è quasi sottratto, soppresso, privato della sua realtà, del suo respiro, della sua voce, del rumore ch'esso produce muovendosi, per diventare soltanto un'immagine muta, che tremola per un momento su lo schermo e scompare in silenzio, d'un tratto, come un'ombra inconsistente, giuoco d'illusione su uno squallido pezzo di tela... Pensa la macchinetta alla rappresentazione innanzi al pubblico, con le loro ombre; ed essi debbono contentarsi di rappresentare innanzi a lei.

Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in prima edizione 1915 dal titolo Si gira...

5 commenti:

  1. E’ l’opera di Pirandello che amo in assoluto da me letta e riletta. Mi soffermo sulla figura del protagonista del romanzo e cito un pezzo preso da internet ma che in sintesi riproduce il personaggio.
    Serafino Gubbio "operatore": è il protagonista del romanzo e la voce narrante. Non compaiono note morfologiche sulla sua fisionomia. Si definisce "operatore" in quanto la sua professione consiste in "una mano che gira una manovella", una mano impassibile alle azioni che riprende. Dopo aver ereditato una buona somma di denaro, si è orientato verso gli studi umanistici. Ha impartito lezioni a Giorgio Mirelli alla casa di Sorrento, casa a cui rimane e rimarrà legato non solo per il clima mite e sereno, ma anche per l’amore nutrito verso Ducella. Di fatti ritornerà in quel luogo, ora non più così caro come credeva perché col tempo cambiano anche i sentimenti.
    Gubbio si fa però portavoce della sofferenza dei personaggi con cui vive; li osserva, li analizza, scopre loro la "maschera" facendosi specchio. Afferma di voler essere l’albergo di tutti, per poter confortare loro con lo stesso conforto che loro stessi pretenderebbero. Questo proposito muterà poi nell’animo del protagonista fino a ripudiare una realtà assurda e feroce, chiudendosi dietro la sua macchina da presa, come freddo, impassibile operatore, raggiungendo la pura perfezione della professione.
    "…Ho sprecato per voi un po’ di quello che non mi serve affatto; perché a me serve soltanto la mano…"(Quaderno 7°-pag190).
    "…Caro signore creda pure che a me non fa né caldo né freddo: colpisca o fallisca il colpo; faccia dentro la gabbia quello che vuole; io non mi commuovo, stia sicuro. Qualunque cosa accada, seguiterò impassibile a girare la macchinetta."(Quaderno 7°- pag215).

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  2. Chi ama il cinema non può non leggere questo splendido romanzo di Pirandello. Sicuramente non il suo capolavoro, ma indubbiamente l'unico romanzo che racchiude tutte le tematiche pirandelliane.
    Pirandello detestava il cinema, eppure ci lavorò e scrisse i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, oggi testimonianza preziosa, documento infallibile della realtà cinematografica di allora.

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  3. Anonimo concordo pienamente con quello che hai scritto. Io amo il CINEMA e per questo ho letto il romanzo e ribadisco mi è piaciuto anche tantissimo.

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  4. Le idee proposte da Pirandello sono molteplici; in primo luogo viene sottolineata e contestata la tendenza all'utilizzo di maschere da parte degli uomini, e dunque la tendenza ad apparire diversi rispetto alla propria natura reale (un esempio ne è la Nestoroff, che maschera insoddisfazione e disagio con una sfacciata sicurezza e arroganza nei rapporti con gli uomini).
    Come era avanti il "Maestro" aveva già capito tutto. E qui ci rifacciamo anche ad un altro articolo da te trattato Roberto "Un' ideale maschera per la maschera".

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  5. Con questo romanzo Pirandello fu tra i primi a cogliere le caratteristiche industriali, di alienazione che il cinema comportava. Nel 1929 in un articolo sul «Corriere della sera», scrisse che il peccato maggiore del cinema era quello di voler gareggiare con il teatro, invece lui vedeva nel cinema un altro spazio perchè il cinema doveva trovare una propria identità.

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