sabato 19 giugno 2010

Countryside 35X45


Lo abbiamo potuto vedere a dicembre in anteprima italiana al Potenza International Film Festival. Countryside 35x45, del giovanissimo regista russo Evgeny Solomin (classe 1972), è un film documentario proveniente dalla freddissima e sperduta Siberia. Per il momento saranno ancora in pochi a poter godere della visione di questo gioiellino cinematografico, un film atipico, teorico, politico e decisamente antropologico. Cinema sommerso.

Il titolo del film è significativo. Countryside è un vocabolo che tradotto produce inevitabilmente definizioni imprecise eppure evoca immediatamente un paesaggio rurale, una comunità agricola, di campagna. Mentre 35x45 è il formato standard della fototessera, per essere più precisi la fototessera da carta d'identità o passaporto, documenti che racchiudono l'identità stessa di un uomo , residente in un luogo e membro cittadino di una nazione. Ed è proprio il passaporto che viene innalzato da Solomin a mezzo di racconto di una comunità e quindi di un popolo che vive il passaggio dall' Unione Sovietica alla Russia democratica. Ma ciò che stupisce nella visione del film è come tutto questo sia per la comunità siberiana un fatto inevitabile. Un passaggio che non produce un trauma collettivo. Il countryside rimane immutato. Lo stato produce nuovi passaporti, nuove identità, ma il paesaggio non cambia, la vita della provincia siberiana non cambia. Le mandrie di bestiame continuano a pascolare, le persone continuano a telefonarsi e a sposarsi. Addirittura si festeggia.
Eppure in questo passaggio il singolo, racchiuso inevitabilmente nel 35x45, vive il suo piccolo dramma personale. Come la vecchia tedesca di 93 anni che si commuove di fronte al fotografo, confessandogli come per lei il passaporto è necessario, nonostante la sua età. Per lei significa continuare a ricevere la pensione statale fino alla fine dei suoi giorni.

Un capitolo a parte potrebbe essere dedicato al fotografo. Senza di esso non ci sarebbero ne le foto, ne i nuovi passaporti, ne le nuove identità. Il fotografo di provincia, con la sua piccola macchina fotografica diventa inevitabilmente una figura centrale, un mezzo tramite della narrazione filmica. Egli stesso è un membro della comunità, eppure esso ha in pungo il mezzo del passaggio storico, lui si fa portatore della nuova identità. Eppure egli non si incarica di diventare una figura ideologica, lui esegue il compito semplicemente a mezzo lavorativo, come mezzo della sopravvivenza del fotografo di provincia. Forse per questo il suo sguardo non incontra mai quello della macchina da presa, il suo punto di vista è filtrato sempre dal mezzo fotografico.

Solomin non cerca mai di identificarsi con il fotografo o con gli altri passanti, egli è testimone oculare ed è in questo che il suo film può essere considerato documentario. Il suo occhio attento a documentare il passaggio di questa identità e allo stesso tempo nella ricerca della immobilità paesaggistica, tradita poi inevitabilmente dal fuori campo che entra come una presenza sconcertante nell'inquadratura.
Dall'altra parte potremmo quasi pensare alla ricostruzione scenica degli eventi. La perfezione stilistica e la ricerca di senso nell'inquadratura danno quasi la sensazione che tutto sia stato ri-messo in scena, forse come la maggior parte dei più grandi documentari a partire da Nanuk l'eschimese di Flaherty in poi.
Eppure il dubbio cade, ritrovandosi di fronte ad un capolavoro come Countryside 35x45. La sua fotografia e l'uso che viene fatto della pellicola sono degni dei migliori maestri del cinema russo.

Speriamo presto di vederlo distribuito in Italia, magari anche in qualche passaggio fugace di Fuori Orario.

Roberto Mazzarelli



Trailer del film





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