venerdì 18 novembre 2011

Nick's Movie di Wim Wender e Nicholas Ray



Ho visto questo film di Wim Wender (e di Nicholas Ray) prima di leggere un saggio di Lucilla Albano, professoressa di interpretazione e analisi del film al Dams di Roma III. Non parlerò affatto di queste osservazioni (lucide e sincere) che potete trovare facilmente in un libro della stessa Albano, Lo schermo dei sogni | Chiavi psicoanalitiche del cinema (Marsilio editore). Ma ritengo pressapoco corretto riferire una certa influenza che tale saggio ha avuto nella mia "interpretazione" e (solo successiva) analisi di Nick's Movie - Lampi sull'acqua.  

Questo film è qualcosa di unico (anche se di questo non sono certo) nella storia della cinematografia. Unico perché indefinibile, difficilmente catalocabile in un genere filmico. Cos'è Nick's movie? Un film? un documentario? un backstage? Probabilmente si tratta sia di  un film (quindi una messa in scena), sia di un documentario (rappresentazione di una realtà che si consuma davanti la macchina da presa), e anche un backstage (ovvero il retro-scena, la truope che ricrea e fa parte della scena stessa).
Si tratta  di un confluire di punti di vista, ognuno con un suo dispositivo specifico; il film difatti è stato girato sia in 35 mm, sia in 16mm, e anche in video. Ma questi infiniti sguardi restituiscono un'unica prospettiva, quella degli ultimi giorni di vita del maestro Nicholas Ray (Gioventù Bruciata, Johnny Guitar, Il Temerario).

A dare spunto a Wenders sulla realizzazione di questo film è lo stesso Ray, ormai vecchio e deperito per colpa del cancro (sia ai polmoni che al cervello), ma pronto ad affrontare la sua più grande avventura, ovvero la morte. "L'amico americano" sa bene che la morte non è nient'altro che un "ritorno a casa", i suoi film dopotutto raccontavano proprio questo, la storia di uomini che cercano la strada verso casa. Il grande Ray era ormai pronto a dare il giusto finale a queste storie, e per farlo ha scelto il suo giovane amico Wim Wenders.
Ciò che ne esce non è niente che abbia a che fare con lo spettacolo, con la grande uscita di scena di un maestro del cinema, ma è la documentazione sincera  di una decomposizione. E' un avvicinarsi lentamente alla morte e di conseguenza alla vita, o meglio al senso della vita. Il regista americano, infatti, in questi suoi ultimi giorni, lucidi e allucinati allo stesso tempo, sembra comprendere ogni cosa. 


Eppure Ray, andando incontro alla morte, cerca "temerariamente" di aggrapparsi al presente, fino all'ultima immagine/frammento che lo riprende, dove Wenders cerca di fargli dare il "cut", lo stop delle riprese. Ray, sa bene che quello è il giusto momento per "tagliare", ma in quel momento sembra regredire ad uno stato primordiale, sembra essere ritornato un giovane autore, un dilettante, innamorato a tal punto delle immagini che gli si presentano davanti alla macchina da presa da rifiutare il gesto "immorale" del cut. Un gesto non solo immorale, ma anche "mortale". 


La morte delle immagini, la morte del reale.




Roberto Mazzarelli

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